The Passage


The Passage. The Passage è una serie televisiva che riproduce un topos letterarario antico…quanto?  

The Passage è tratto dall’omonimo romanzo di Justin Cronin che Stephen King ha divorato: “Leggi 15 pagine e sei catturato. Ne leggi 30 e ti trovi prigioniero. Se aprite questo libro il vostro mondo scomparirà”. La trama è appunto una variazione sul tema dell’apocalisse zombie. Tutto inizia in Bolivia dove uno scienziato isola un virus che, modificato geneticamente, sarebbe in grado di rendere gli uomini più forti e di preservarli dalla malattia e dalla morte. Una della cavie scelte per la sperimentazione è una bambina di 10 anni, Amy Bellafonte: il suo sistema immunitario è meno sviluppato di quello degli altri soggetti selezionati e dovrebbe dunque evitare che il trattamento la trasformi in una mostruosa creatura assetata di sangue come è avvenuto agli altri. Ovviamente le cose non vanno come previsto: le cavie selezionate per la sperimentazione fuggono dalla base in Colorado, e cominciano a seminare morte e distruzione. “Ventotto settimane dopo” il mondo è un feroce campo di battaglia, e Amy, l’unica sopravvissuta all’esperimento che ha dato il là a tutto questo bailamme, e l’agente dell’FBI Brad Wolgast che, incaricato di portarla alla struttura medica top secret destinata alla sperimentazione del virus, aveva subito cambiato idea sull’etica di esperimenti su una bambina, e deciso di proteggerla, iniziano un viaggio da cui dipende il destino dell’umanità.

Chi ha visto “8 giorni dopo” di Danny Boyle, e il suo sequel “28 settimane dopo”, di Juan Carlos Fresnadillo coglierà subito le affinità, evidenti anche nell’estetica dei vampiri zombie o zombie vampiri. Se i vampiri hanno origine da varie credenze popolari diffuse in tutta Europa, legate alla scarsa conoscenza dei meccanismi della decomposizione, gli zombie sono un fenomeno più recente, proprio della società di massa, una “legione” che entra nell’immaginario collettivo con “White Zombie” del 1932, ed esplode nel 1968 con “La notte dei morti viventi” di Romero. I due miti hanno tuttavia in comune il timore millenario che i morti fossero ancora capaci di far del male ai vivi: “Hominem mortuum in urbe ne sepelito neve urito” affermavano le Leggi delle XII tavole del 451-450 a.C. che volevano in tal modo tutelare non solo l’igiene della città, ma tener distinti e distanti due mondi. Il topos che mi sembra centrale nel romanzo e nella serie mi sembra proprio questa commistione di cui l’immortalità è lo strumento.

Il cognome di Amy è Bellafonte. L’assonanza con Bellerofonte è evidente. E i vampiri zombie o zombie vampiri di The Passage, pure senza avere la testa di leone, il corpo di capra e la coda di serpente della figlia di Tifone ed Echidna, simboleggiano la chimera dell’immortalità, un miscuglio di mondi che la natura tiene distanti, e la presunzione dell’uomo finisce per unire.

La morte è l’ultimo tabù rimasto all’Occidente, uno scandalo perché estranea alla tradizione cristiana: la morte, infatti, non era contemplata dal progetto originario di Dio, ma è la conseguenza del peccato originale. Se in Occidente l’evento della morte è un tabù, la rimozione della mortalità è tuttavia un’esigenza diffusa in tutte le culture. “L’uomo è uomo proprio perché intende liberarsi dal dolore, dalla morte; per questo ha inventato il mito, la religione, la stessa scienza, la quale non è una contemplazione disinteressata e ingenua, bensì la longa manus dell’istinto di sopravvivenza dell’uomo”, afferma Severino. La speranza che la scienza possa curare la morte è l’ultimo capitolo di una preistoria che inizia nei sogni dell’homo e diventa storia con la trasfigurazione del mito in religione. In attesa che la scienza curi la morte, ci si accontenta di curare la sua estetica, l’invecchiamento e la malattia. Nel quadro di Klimt “Le tre età della donna” la donna anziana si nasconde il volto con una mano. Il gesto è la versione politicamente corretta di uno scandalo che nel dipinto Las Edades y la Muerte, di Hans Baldung Grien, è raccontato senza il velo di Maja dell’illusione.

“Las Edades y la Muerte è la rappresentazione di un tema ricorrente nelle manifestazioni artistiche fin dal Medioevo e particolarmente presente nel Rinascimento, il memento mori. È una riflessione sulle tensioni fondamentali dell’essere umano, la ricerca della sensualità e la sua perdita con la morte.” Nel dipinto conservato al Museo del Prado, la voluttà contrasta violentemente con la bruttezza, e l’inevitabile morte, “il ciclo della vita è rappresentato, enfatizzando le devastazioni del tempo e l’irreversibile fine dell’esistenza. La Parca cerca di trascinare un’anziana donna che, a sua volta, vuole portare con sé la bella giovane donna, che si mostra, con il gesto e la postura, riluttante a seguirli. È una resistenza vana. Un bambino addormentato frequenta la scena del suo irrimediabile futuro.” “Il cinema ha dato vita, togliendo loro la morte, a Highlander, ai vecchietti di Cocoon , ai vampiri eternamente adolescenti di Twilight , ai giovani in cerca di tempo in In Time . E la letteratura? Il ritratto di Dorian Gray , le poesie di Wordsworth. Il Faust di Goethe è giunto persino a stipulare con Mefistofele un patto per fermare l’attimo fuggente e ha finito per smarrire l’anima. E la filosofia quanti trattati ha sfornato De immortalitate animae? Gli Alphaville, negli anni Ottanta del ‘900, quando tutti più che mai pensavano che la ricchezza, la bellezza, la pace e la vita fossero infiniti – forse a suggellare l’intramontabilità dell’amore stesso – cantavamo Forever Young. Ron e Tosca in una melodia del 2002 stornellavano “Vorrei incontrarti fra cent’anni…”, scrive Laura Fano che omette quel capolavoro di Ridley Scott, che di The Passage è il produttore, che è Blade Runner. La fuga dalla vecchiaia, e dalla malattia, nonostante i tentativi di un racconto diverso da parte della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria secondo cui si diventerebbe anziani a 75 anni, è un’attitudine del disturbo narcisistico della personalità che da psicosi individuale è diventata nevrosi collettiva.

A che età si diventa vecchi? “In realtà, più si è avanti con l’età e più si sposta in avanti l’età della vecchiaia: chi ha più di 85 anni dice che la vecchiaia inizia a 74 anni. Per le donne si diventa vecchi a 70 anni, mentre per gli uomini a 66. Tra le persone di età compresa tra 65 e 74 anni sono il 20% quelle che si sentono vecchie e sono il 35% quelle si sentono vecchie pur avendo più di 75 anni. Dopodiché dallo studio risulta che per il 79% degli intervistati la vecchiaia inizia a 85 anni, per il 76% quando non si è più indipendenti, per il 66% quando non si può più guidare l’auto, per il 62% quando si hanno 75 anni e per il 51% quando si comincia a dimenticare il nome dei familiari.”, scrive Gilberto Corbellini. Per mia figlia sono vecchio da quando ha cominciato a parlare. Le avevo chiesto provocatoriamente di trovarmi una fidanzata simile a una delle ragazze che aiutano sua madre nei lavori domestici: “Papà, ma tu sei vecchio”. Ho provato a replicare qualcosa, ma cosa si può replicare alla sincerità d’una figlia che ha mille anni meno di te quando la paura più grande che mi porto dentro è quella di non riuscire a vederla diventare donna?

E’ una paura nata al capezzale di mio padre. Qualche giorno prima di morire mi chiese se mi facesse pena. Forse non era abituato all’amore, e finiva con il confondere le cose. Forse aveva solo paura. ” Forse in quegli ultimi momenti amava la vita più di quanto l’avesse mai amata… Non solo la sua vita: la vita di chiunque, la mia vita. Tutto ciò che volevano erano le risposte che noi tutti vogliamo: da dove vengo? Dove vado? Quanto mi resta ancora? Non ho potuto far altro che restare lì e guardarlo morire”, dice Deckard. Non c’è modo più semplice e vero di raccontare la fine. Sono domande che scavano la carne, e restano senza risposta, a meno che si abbia quella fede che mi è impossibile. “In quel medesimo giorno, venuta la sera, disse loro: «Passiamo all’altra riva», racconta Matteo.

A Staglieno scattai due foto. The Passage è la prima. L’altra l’ho chiamata Pietas. E’ in bianco e nero. La pietà, i tempi troppo lenti per fermare la vita che va avanti dopo aver fermato per un secondo il suo sguardo sulla morte, e la sovrabbondanza di rumore dovuto alla scarsa luce in quell’angolo del cimitero mi sembravano accordarsi meglio con l’assenza di colore.

Passati sull’altra riva, su questa restano il ricordo e la pietà. La Pietà Rondanini è l’ultima delle Pietà di Michelangelo. Rimasta incompleta, fu ripensata più volte da Michelangelo che infine pensa di fondere il corpo di Cristo e quello della Vergine Maria. “Le cose potrebbero essere andate così: Michelangelo ad un certo punto, mentre vecchissimo lavorava a questa scultura aveva capito con chiarezza l’idea che l’aveva generata e a cui doveva “obbedire”. E qual era questa idea? Che quando un figlio muore, non si dà che una mamma sia una spettatrice. È una a cui muore qualcosa dentro. Quindi bisognava annullare distanze, fare dei due personaggi quasi un personaggio unico”.

Quando ricordo mio padre, per una infinitesima frazione di secondo, è quello che sento, l’assenza di distanze, una fusione che trascende il presente, e che si trasfigura subitaneamente in paura. Perché a essere padre o madre si tratta di carne, non di pietra. La pietra non basta, una fotografia ancora meno. “E tu ne’ carmi avrai perenne vita”, scriveva Foscolo di Firenze.


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