La Vampalera

La Vampalera è il falò in onore di Sant’Antonio Abate che a Sturno viene acceso la sera del 16 gennaio. La fotografia è di Greta. L’adolescenza quella di Greta e di Conny.

“Papà mi manchi tantissimo. Mi vieni a prendere stasera così stiamo un po’ insieme? Sai, poi stasera c’è la vampalera…e distribuiranno la cioccolata calda…e io mi sono già messa d’accordo con Marta…”

Credo che l’affetto di Greta fosse il motivo residuale della sua richiesta di passare una serata a Sturno, ciò che restava una volta scremata la cioccolata di cui lei è golosa al pari di quanto sia bramosa della compagnia di Marta. La vampalera per contro era lo sfondo d’una celebrazione antichissima. Il falò in onore di Sant’Antonio Abate è un’usanza assai diffusa che altrove ha nomi diversi. Il falò più famoso è quello di Novoli in provincia di Lecce, ma il legame tra la celebrazione del santo egiziano ed il fuoco è parte dell’iconografia cristiana da tempi antichissimi. Il fuoco legato al suo culto ha a che fare con il racconto che voleva il Santo recarsi all’inferno per contendere al demonio le anime dei peccatori. Un racconto del nuorese narra che una volta nel mondo non c’era fuoco, e che gli uomini per non soffrire oltre il freddo inviarono ad Antonio una delegazione nel deserto della Tebaide affinché gli procurasse il fuoco. Antonio si decise ad aiutarli, e andò a bussare, accompagnato dal suo maialino, alle porte dell’inferno. I diavoli, che già avevano avuto a che fare con il Santo e s’erano rotti le corna, si spaventarono e lo respinsero chiudendo le porte della loro dimora senza tuttavia riuscire ad impedire che il maialino sgusciasse dentro mettendosi a scorrazzare dappertutto. Per liberarsene i diavoli dovettero chiedere a Sant’Antonio di andare a riprenderselo, ed il Santo ne approfitto per rubare il fuoco incendiando il suo bastone a forma di tau e portarlo agli uomini. Più che il mito di Prometeo il racconto riprende elementi di origine celtica. Nonostante l’agiografia moderna tenti di giustificare storicamente la presenza iconografica del maiale accanto al Santo facendo riferimento ai maiali che l’Ordine degli Ospedalieri Antoniani allevava per curare l’ergotismo, il fuoco di Sant’Antonio o, più correttamente, l’herpes zoster, il maialino apparteneva già alla Grande Madre Cerere alla quale alla fine di gennaio si dedicavano le Feriae sementinae, “durante le quali si procedeva alla lustrazione dei campi e dei villaggi e si offriva a Cerere e alla Terra una porzione di latte e mosto cotto, detta burranica, sacrificando loro una scrofa gravida”, scrive Cattabiani.

La Madonna tra i santi Antonio Abate e Giorgio di Pisanello

E Pisanello, in un quadro custodito alla National Gallery di Londra, raffigurò l’eremita con un cinghiale. Il cinghiale era l’attributo di Lug, il dio celtico della morte e della resurrezione, figlio della Grande Madre celtica, che risorgeva assicurando, ogni anno, il ritorno della primavera e della luce, e dunque della fecondità dei campi. I celti lo onoravano al punto di ornare i loro elmi con la figura di un cinghiale, e da raffigurare lo stesso animale sui loro stendardi. Lug inoltre, come dio della morte e della resurezione, regnava sugli inferi. “Poremmo allora concludere”, scrive Cattabiani, “che, come è avvenuto spesso ne cristianesimo primitivo, i celti convertiti hanno trasferito gli attributi di Lug su Sant’Antonio che proprio nelle loro terre, a nel villaggio di La Motte aux Bois che in seguito prese il nome di Saint-Antoine-l’Abbaye, erano giunte da Costantinopoli dopo l’occupazione araba dell’Egitto. Il cinghiale venne poi caricati di significati negativi, demoniaci, che’ al cristianesimo premeva staccarsi dalla contaminazione con i riti pagani, e si trasformò in maiale.

Antonio era una celebrità. La storia della sua vita, scritta da un vescovo di nome Atanasio, fu un caso letterario, divorato con avidità dall’Egitto all’Italia, e rimase per secoli un vero e proprio successo editoriale ante litteram. “I giovani leggevano questo racconto di abnegazione e di punizione e, ispirati, se ne andavano, sparendo inghiottiti tra le dune del deserto per imitare le gesta di Antonio. Furono talmente tanti a decidere di partire che il deserto, stando a quanto fu scritto, diventò una città di monaci. Secoli più tardi, Antonio sarebbe stato onorato come il padre fondatore del monachesimo; uno degli uomini più influenti della storia dell’intero cristianesimo”, scrive Catherine Nixey. Oggi Antonio sarebbe un influencer. Come quelli che segue Greta su Instagram.

“La prossima pizza non la pago”, ho commentato sarcasticamente. E sarcasticamente ho osservato, insieme a Lercio, che è “lecito farsi ibernare per non assistere all’adolescenza dei propri figli”. Provo ad essere equilibrato, provando ogni volta a ricordare quella che è stata la mia adolescenza ed il rapporto con i miei genitori, e le mie responsabilità di padre. L’adolescenza era un’età difficile. e oggi lo è forse anche più. Il racconto dei padri e delle madri che hanno figli dell’età dei miei ragazzi, e i ricordi della mia adolescenza, narrano di adolescenti che amano spezzarsi le ossa del collo o magari sconfinare nel codice penale solo perché hanno un cervello immaturo. Non è questione di maturità tuttavia, ma di differenze. Albert Einstein concepì e scrisse la sua teoria della relatività all’età di 25 anni, mentre Charles Darwin formulò la sua celebre teoria della selezione naturale addirittura a 21 anni. E lo stesso può dirsi di Guglielmo Marconi, e Michael Faraday, James Watt e Thomas Edison, Steve Jobs e Bill Gates. Mark Zuckerberg non aveva ancora vent’anni quando pensò a Facebook. E, prima di Facebook, Philo Farnsworth, considerato l’inventore della televisione, immaginò questa tecnologia mentre frequentava le superiori, costruendo il suo primo prototipo funzionante all’età di 20 anni. La plasticità del cervello adolescenziale, la sua capacità di rispondere diversamente agli stimoli, è quella che permette a mio figlio di scrivere musica mentre io, che ho preso in mano la chitarra a 40 anni, ancora non riesco ad effettuare il barrè. In uno studio della Columbia University è emerso che negli adolescenti possono interagire tra loro due diverse forme di apprendimento, legate al coordinamento tra l’attività dell’ippocampo e quella dello striato che invece manca nel cervello adulto. Come ha dichiarato Daphna Shohami, coautrice dello studio, “collegando due stimoli che non sono intrinsecamente connessi, il cervello degli adolescenti potrebbe costruire una comprensione più ricca di ciò che lo circonda, durante una fase importante della vita” ( https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0896627316305244). Per capire i miei figli, e dare loro un’educazione che non faccia danni, il primo passo è proprio quello di lasciarsi alle spalle i luoghi comuni.

“Adolescenti. L’età delle opportunità” è un libro di Laurence Steinberg che “negli Stati Uniti ha già raggiunto la decima edizione, segno che genitori ed educatori, o meglio una società intera non finiscono mai di interrogarsi su alcuni comportamenti misteriosi dei loro figli, alunni o vicini di casa. Questo saggio, che ha la dote della comunicazione immediata, anche quando tratta di neuroscienze, ribalta la prospettiva dello sguardo. Se è vero che gli adolescenti spesso mettono in pericolo se stessi e gli altri con comportamenti sconsiderati, vuol dire che le «sentinelle» poste a controllo delle emozioni e della capacità di reagire a un ambiente potenzialmente minaccioso non sono ancora del tutto messe a punto: il sistema limbico sviluppa nel corso degli anni e dopo la pubertà è alterato nella sua chimica dagli imput ormonali impazziti. Subisce come delle scosse”, scrive Arianna Di Genova su Il Manifesto. Qualcuno dei miei amici lo ha letto. Io ho preferito non farlo proprio dopo aver letto la recensione della Di Genova e aver osservato come si continui a parlare di ormoni impazziti. E’ vero che l’ultima parte del cervello a crescere è la corteccia prefrontale, la parte capace di decidere, ma questo non significa che gli adolescenti siano incapaci di una decisione, solo che si tratta di una decisione diversa, Il che non significa che gli adolescenti non siano capaci di decidere, ma solo che si tratta di una decisione fisiologicamente orientata a dare più valore ai vantaggi di un comportamento piuttosto che ai potenziali rischi. In questa vicenda un ruolo centrale è svolto dalla dopamina, un neurotrasmettitore che spinge alla ricerca del piacere e della gratificazione immediata. Durante l’adolescenza il livello di base della dopamina è inferiore a quello tipico dell’età adulta mentre il suo rilascio in relazione alle esperienze compiute è maggiore.

Non è colpa di Marta se Greta la preferisce a me, se la vampalera sia solo l’occasione d’una cioccolata calda, e non una celebrazione che sconfina nella storia, se i suoi “buongiorno papà” sono incostanti e frettolosi. Continuerò a raccontargli l’attualità scavando nei libri di storia, come ho fatto ieri parlando della distruzione di Palmira intorno al 385 d.C., quasi due millenni prima dell’ISIS, e continuerò a pretendere il rispetto di un buongiorno e d’una buonanotte, ma in modo diverso. E’ la differenza che passa tra autorità e autorevolezza. “Le bambine di oggi hanno bisogno di aprire gli occhi, di cambiare la focalizzazione…perché i sogni svaniscono presto e i Principi passano e non possono rappresentare l’essenza della vita, l’amore, quello vero ed eterno, che è quello della madre che, nonostante l’apparenza crudele e malefica, è sempre lì, pronta a sostenerti e ad indirizzarti”, scrive una madre. Io mi rifiuto di apparire crudele e malefico: i “no” servono quando sono motivati, spiegati, e a condizione che siano coerenti. E credo che lo stesso valga per i “si”. Per contro mi capita spesso di vedere permessi e dinieghi distribuiti in funzione della diversa stanchezza che ognuno si porta a casa da un mondo che va di corsa, e che preferisce la realizzazione professionale a quella genitoriale.

“Voi due siete capaci di pugnalate che non guariscono, di cicatrici che non si rimarginano mai del tutto”, dicevo a mio figlio qualche giorno fa. “Si, papà, ma insieme siamo capaci di carezze che bastano per una vita”, ha replicato lui. Mi sono ricordato delle lettere al padre di Kafka e Leopardi, e di quando ero adolescente i mio padre adulto e lontano anni luce, della splendida poesia di Handke con cui inizia Il cielo sopra Berlino e di Proust quando dice che dei gesti dell’adolescenza “quasi non ve n’è uno che più tardi non vorremmo sopprimere, mentre ciò che invece dovremmo rimpiangere è di non possedere più la spontaneità che ce li faceva compiere. Più tardi si vedono le cose in modo più pratico, pienamente conforme a quello del resto della società, ma l’adolescenza è il solo tempo in cui si sia imparato qualcosa”.

Sarà che diversamente da quella madre io mi illudo di essere ancora adolescente



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