Silence

Questo blog era nato per i miei figli, per lasciare loro qualche parola, qualche testimonianza della nostra vita, del nostro reciproco cambiarsi, nella consapevolezza che gli anni avrebbero inevitabilmente costruito silenzi, se non muri. Ed era nato nel solco di un sentimento di precarietà che mi accompagna dai tempi del liceo.

E’ stato ai tempi del liceo, nel giorno di San Valentino, che il silenzio ha, per un istante infinito di tempo, il tempo di un sospiro, fermato il ticchettio dell’orologio, e riempito lo spazio, e gli occhi. E dai tempi del liceo quegli istanti si sono succeduti, si succedono, ad un ritmo sempre più pressante, al punto da diventare uno degli sfondi delle giornate, quello che resta quando spoglio il giorno da ogni altra cosa, il rumore di fondo, un disturbo come i moscerini bianchi e neri su quella vecchia televisione di Via Tressanti, che pensavo fossero l’effetto d’una antenna arrugginita ed invece era la voce d’una stella. Anche le stelle sono effimere.

Effimero, dice il Dizionario Etimologico, deriva dal greco ephemeros, parola composta dal prefisso ἐπί «per» e ἡμέρα «giorno», cosa che dura un sol giorno; e dicesi di cosa di breve durata, per esempio dei fiori che in un solo giorno sbocciano, appassiscono e muoiono. Tuttavia quando si parla di effimero, il pensiero più che ai fiori corre alla farfalla. E la farfalla, nel suo mutarsi da bruco che vive solo per nutrirsi, a crisalide o pupa che attraversa uno stato di morte apparente, a farfalla infine che volteggia elegante come una ballerina, che volteggia intorno alla lampada finché non muore, ed è più ammirevole della talpa che vive in un buio cunicolo, nelle parole di Khalil Gibran, è anche il simbolo della trasformazione, della libertà, e dell’infinito in un’accezione magico-religiosa.

La farfalla è la conclusione di un litigio con mio figlio. E’ stato colpa di entrambi, mia per la mia incapacità di comprendere la sua fragilità, sua per tenere quella fragilità separata dalla mia comprensione, estranea dal nostro spazio e dal nostro tempo. Non si tratta dell’incomunicabilità che mi separava da mio padre, ma di altro, forse solo di riserbo se il riserbo non fosse l’apparenza di sentimenti più profondi, della paura di svelarci umani, egli impaurito da un mondo che diventa ogni giorno più grande, io da quella di diventare sempre più piccolo. Alla fine abbiamo parlato delle farfalle, di come ciascuno sia bruco, crisalide e farfalla, e muoia ogni volta per rinascere, riscoprirsi, diverso, cambiato.

E abbiamo parlato di tempo, “la cosa più preziosa che abbiamo, l’unica cosa che non dovremmo sprecare”. Gli ho detto di volersi bene, di rispettarsi cominciando con il rispettare il suo tempo, e rispettando il tempo mio e di sua madre. Ha sedici anni, ma sono convinto che abbia già i mezzi per essere misura di se stesso e del suo mondo. Sa quanto una sua parola possa far bene e far male, e sa quali siano i piaceri da coltivare. E’, gli dicevo, stato svezzato, nutrito, con poesie e polvere di stelle. E con qualche preghiera. Ognuno prega a modo suo.

Stasera prego per Iolanda. A Iolanda piaceva il canto notturno di un pastore errante dell’Asia. Leopardi, si. “Il sentimento della nullità di tutte le cose, la insufficienza di tutti i piaceri a riempierci l’animo, e la tendenza nostra verso un infinito che non comprendiamo, forse proviene da una cagione semplicissima, e più materiale che spirituale. L’anima umana desidera sempre essenzialmente, e mira unicamente, benché sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla felicità, che considerandola bene, è tutt’uno col piacere. Questo desiderio e questa tendenza non ha limiti, perch’è ingenita o congenita coll’esistenza, e perciò non può aver fine in questo o quel piacere che non può essere infinito, ma solamente termina colla vita“, scrive Leopardi. Amo Leopardi per questa continua tensione tra l’effimero e l’infinito. Penso che Iolanda lo amasse per lo stesso motivo. E penso che Iolanda l’infinito lo avesse trovato, effimero come un viaggio, ma sufficiente a riempirle l’anima.

“Nicola allora quando parti? Verrei volentieri in Nepal ma e’ troppo fuori budget”

“Prima o poi questa cosa la dobbiamo fare. Tu parti da New York, io da Sturno, e ci vediamo a Karachi. Quando rifletteremo che uno è delle Pagliarole e una di Caporelupo realizzeremo che l’infinito è a un tiro di schioppo”

“Fra poco avremo lo stesso fuso orario. Domani passo in confine con il Laos ed entro in Cambogia. Questo finora e’ stato il viaggio più bello della mia vita. La Birmania resta la parte migliore in quanto ad autenticità, popolo magnifico… è da visitare prima che i cinesi la guastino… ora sono ancora un popolo ingenuo e curioso. Se hai bisogno di informazioni chiedi pure”

“Io vorrei andare in Etiopia. La valle dell’Omo ce l’ho in testa da 30 anni. Mi piace la paleontologia. Al punto che sono finito per interessarmi di genetica: i libri di L.C. Sforza sarebbero da dare nei licei al posto di Manzoni. Ma è un viaggio difficile. Mo’ faccio testa o croce. E sono sicuro che la moneta mi indicherà la strada…Come dicevo, come diceva Douglas Adam, ho mille idee e conducono tutte a morte certa”

“Ma quale morte certa…queste sono idee che fanno vivere”

“Era una battuta. Ironia zero. Ti devo sparare con l’arma a punti di vista”

“Certo che avevo colto l’ironia e che diavolo! Ho anche pensato mo’ pensa che non ho capito che era una battuta..ancora non perdo colpi”

“Se non fossi pentastellata saresti quasi perfetta. E’ talmente raro trovare uno che quando dici supercalifragilistichespiralitoso ti capisca che si, saresti quasi perfetta come compagna di viaggi”

“Un abbraccio Nico’…da chi si sente Peter Pan”

“Buon viaggio Trilly”

A Iolanda, con stima ed affetto


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