
Mia madre ha detto spesso che la cosa che non perdonerà mai ai suoi genitori è di non averla fatta studiare. Mia madre è nata nel 1941, durante il fascismo, in una parte del Paese dove l’arretratezza culturale non aveva bisogno del Duce per tenere la donna confinata nelle mura domestiche e lontana dalle aule scolastiche. Nel libro “Politica della Famiglia” del teorico fascista Loffredo, si legge: “La donna deve ritornare sotto al sudditanza assoluta dell’uomo, padre o marito; sudditanza e, quindi, inferiorità spirituale, culturale ed economica“. Loffredo consiglia agli Stati di vietare l’istruzione professionale delle donne, e di concedere soltanto quell’istruzione che ne faccia “un’eccellente madre di famiglia e padrona di casa“. Non so se mio nonno conoscesse Loffredo. Di sicuro conosceva l’enciclica Casti Connubi, dove si auspicava: “Da una parte la superiorità del marito sopra la moglie e i figli, dall’altro la pronta soggezione e ubbidienza della moglie, non per forza ma quale raccomandata dall’apostolo“. E’ il 31 dicembre 1930 e sembra di essere a Roma, all’epoca dello ius Quiritium e della dominica potestas.
Mia madre ha preso la licenza di scuola media alle serali. Ho il ricordo dei suoi quaderni e di una scrittura minuta ed elegante, di lei che imparava a contare in francese e di mio padre che la guardava come Gomez guarda Morticia ne’ La famiglia Addams. Oggi mia madre ha 77 anni, e a guardarla innamorato, non sempre, ma spesso, sono io. E sono io a spezzarmi quando la vedo arrancare su per le scale, la schiena curva, e il passo affannoso di 50 anni di dedizione muliebre e materna senza riserve. E sono io, insieme ai mio fratello e mia sorella, a prendermene cura. Le cure che stancano maggiormente hanno una natura “burocratica”, sono la proiezione domestica del dipinto di Caravaggio “I bari”.
I bari, si. Mi hanno ripreso per aver accusato un impiegato delle Poste Italiane di comportamento truffaldino. L’atteggiamento truffaldino ha a che fare con il diritto naturale, con l’etica, con la deontologia professionale, non con il codice penale. Il rimprovero per contro ha a che fare con la presunzione di essere più di un ingranaggio del sistema produttivo, di quella che Marcuse chiamava performance. L’impiegato mi ha dato l’impressione di comprendere, forse anche di concordare, il Direttore dell’Agenzia assai meno. Ha continuato a difendere una politica aziendale per la quale la trasparenza è una variabile dipendente della cultura.
C’è a questo proposito una bellissima lezione di Eco sulla comunicazione intenzionale, quella che coinvolge due essere umani, secondo cui il processo di significazione, l’attribuzione di un significato, di senso, al segno, alla parola scritta o pronunciata, muove dal destinatario verso l’emittente. Riprendendo un esempio di Aurelio Gentili si può pensare ad una mamma che abbia lasciato al proprio figlio un messaggio scritto sul tavolo circa le incombenze che questi dovrà svolgere durante il pomeriggio: sarà il figlio ad attribuire un significato specifico al messaggio, e non viceversa. E sarà presumibilmente la madre ad inalberarsi quando, rientrata a casa, s’accorgerà che il figlio, nell’alternativa tra un messaggio vago o ambiguo, ha ben pensato di passare il pomeriggio a tatuarsi schifezze sulla faccia in compagnia di Young Signorino. Se non altro è un invito ad una comunicazione che quando diretta a persone che, per cultura e/o anagrafe, hanno difficoltà a comprendere i tecnicismi della performance, dovrebbe essere assai più che trasparente e chiara, dovrebbe abbassarsi alla comunicazione di una nursery. “Cum quaeritur in stipulatione quid acti sit, ambiguitas contra stipulatorem est” insegnavano i latini. Ma, nel caso, non si tratta di ambiguità, si tratta di comportamento fraudolento funzionale alla performance.
Una performance migliore, un rendimento migliore, era appunto quello che era stato prospettato a mia madre che alle Poste Italiane aveva sottoscritto un contratto che prevedeva l’impiego di una parte della piccola somma che mio padre le ha lasciato come garanzia dall’insufficienza dell’amore filiale, in partecipazioni azionarie disseminate per il mondo. Quando le ho spiegato che non c’era certezza alcuna del rendimento di tigri asiatiche e leoni a sei zampe che le era stato prospettato come certo mia madre c’è rimasta male.
“Ho sempre pensato che delle Poste ci si potesse fidare”
“Ma’ le Poste non sono più quelle di qualche anno fa. Sono una banca mascherata sotto la divisa del postino. Postino che incidentalmente la posta manco la consegna più, se non, quando va bene, con qualche settimana di ritardo. Ma questo ma’ non c’entra. C’entra che delle banche non c’è da fidarsi”
Per farle sottoscrivere il contratto mia madre era stata profilata. Il profilo di madre presso le Poste Italiane è quella di una laureata in economia alla Bocconi. La Monte dei Paschi di Siena per contro le aveva attribuito il Nobel in economia.
Alla Monte dei Paschi ci eravamo andati qualche mese prima. Mia madre s’era raccomandata assai con l’impiegato della banca spiegando assai semplicemente, inequivocabilmente, l’importanza di avere una piccola somma da utilizzare in visite mediche e medicine che curano e non guariscono. Le hanno proposto, mascherati sotto nomi esotici e allettanti, degli hedge funds. Quando me ne sono lamentato con il Direttore egli ha voluto conoscere il nome dell’impiegato che aveva spinto mia madre a ritirare i fondi dal deposito bancario, fingendo di ignorare il funzionamento di agenzia, banche, vita, universo e tutto quanto concerne i premi di produttività e la parte variabile della retribuzione.
Too big to fail? Non so. So che qualcuno ha permesso e continua a permettere che il potere economico sia concentrato nelle mani di grandi istituzioni finanziarie che diventano sempre più grandi in funzione della performance, e a discapito di posti di lavoro e di stipendi e salari le cui dinamiche sono funzionali proprio a quella performance. Al massimo ti ci compri un SUV, vero?
E so che non è necessario essere socialisti per essere onesti.