Ombre Gialle

Caterina

Fuori c’era Geppino. Geppino faceva il maestro elementare al doposcuola. Sarà stato in quarta elementare. Il doposcuola per noi era una perdita di tempo, per Geppino una condanna perfino peggiore di sua moglie. Per Geppino la moglie era la colpa di ogni suo insuccesso. Incolpava la moglie anche quando il solitario non gli riusciva.

Geppino aveva grandi ambizioni. Si era laureato a Salerno, al Magistero che allora formava maestri e professori, oggi precari per lo più e sottopagati.

E no, ora la virgola non la cambio. Ha un senso. Come ha un senso che da quando t’ho incontrato ho problemi con le virgole”. “E ho problemi pure ora che te ne sei andata”, avrei aggiunto e aggiungerei dopo. Credo.

Credo. In effetti malsopporto quelli che credono. Magari vincono i milioni in gettoni d’oro e finiscono a governare il Paese, ma quanto all’oro, penso che d’oro sia il dubbio o forse solo la misura. Geppino credeva in sé stesso e non aveva misura. E se la colpa di tutto era della moglie, la colpa del doposcuola era la nostra. La didattica prevedeva il gioco del nascondino. Non ricordo se c’era modo di liberare tutti. Ricordo solo che se ti trovava nascosto dietro una pila di sedie che arrivava al soffitto, ti picchiava con una zoca alla quale aveva fatto diversi nodi. Io non venni trovato. Uscii di soppiatto dalla scuola o aspettai il tramonto e che chiudessero le porte e non ci tornai più. Non ricordo la bugia che dissi ai miei genitori. So che mi sentivo tradito al punto da scordarlo.

Il ricordo me lo ha tirato fuori Lina insieme ad altro.

Fu grazie a Lina che conobbi Caterina. Sembra una rima ma non ho l’ambizione di Franco Arminio. Franco Arminio scrive poesie. Alcune sono pure belle. Altre sono panelle.

Ecco, questa è una rima per davvero di cui il Sommo andrebbe fiero.

Lina lavorava in carcere. Caterina era una sua collega. Ci siamo conosciuti perché non lo ricorderai, ma ci siamo conosciuti in ottobre davanti a un carcere. Io dovevo partire per la Tunisia e chissà perché ti dissi che un giorno in Tunisia ci saremmo andati insieme. Tu mi dicesti che saremmo diventati amici. E io mica lo sapevo che ad un’amica si può volere bene così, al punto da volerla stringere e aver paura di farle male. Non sapevo nemmeno che quell’autunno, l’estate sarebbe diventata un ricordo lontano e che nelle corsie degli ospedali era già nuovamente inverno per colpa del coronavirus. In Tunisia non c’andai. Ci andrò un giorno e credo ci andrò da solo.

Caterina faceva tai chi e yoga, sapeva cucinare l’hummus e la manioca, dormiva con un pigiama di seta blu che aveva portato via da un matrimonio finito male, e la testa rivolta a est per via dell’elettromagnetismo di Laurina che è la mia dirimpettaia, ha 111 anni e Dio la benedica. Laurina mangia quanto una formica per risparmiare il tempo che le resta. Caterina invece mangiava tanto e male, ma credeva che dormire con le finestre aperte e la testa verso il sudario di Laurina portasse bene. Io temevo le zanzare e le malelingue in differita.

A Casale avevano aperto una stazione radio che aveva numerosissimi ripetitori, specialmente negli studi professionali e ‘ncoppa a La Costa maanche a Le Pagliarole gli occhi dietro le veneziane delle finestre e le tende dei condomini erano diffusi al punto da sporcare ogni donna che veniva a casa. Caterina fu l’ultima, forse la prima. L’ho accompagnata sulla strada verso Bologna. Ho accostato oltre il lato dell’autostrada e ho visto le sue luci posteriori scomparire.

Con Caterina non si scopava. L’astensione dal sesso non era certo segno di un’adesione tardiva all’invito di padre Angelo. Padre Angelo era venuto a Casale qualche anno prima che Mario bevesse un grappa profumata alle rose al bar di Mario e sua madre avesse l’apparizione della Madonna. I casalesi si erano riuniti copiosi in Chiesa che sembrava manco la notte di Natale. Con il cappotto nero e le pellicce di visone, erano venuti a sentir parlare di vangelo, di miracoli e di castità. Ricordo che intervenne Carmela, la moglie di Geppino. Carmela raccontò che erano anni che lei e Geppino non facevano sesso. A molti la notizia non sorprese. Geppino e Carmela erano ormai due pezzi di un puzzle che gli anni avevano deformato al punto che immaginarne la fusione era allo stesso tempo comico e tragico. Qualcuno tra i banchi la guardò stupita. Qualche anno prima del matrimonio Carmela e Geppino erano stati trovare a scopare nella sagrestia della Chiesa e quella confessione sembrò un’espiazione o una menzogna. Carmela chiamò al banco Geppino in correità. Geppino confermò. Non aveva un’espressione felice ma rassegnata.

La mia non era rassegnazione ma paura di sporcare un amore che sentivo puro. Non è una cosa che capita spesso. Con Caterina parlavamo di viaggi e di filosofia. Io avevo paura di stringerla troppo forte, di farmi male e di farle male anche solo dialogando.

A volte sorrido pensando ai nostri dialoghi. E poi rido perché saresti capace di farmi ridere anche adesso che scrivo e mi ricorderesti che “”i Dialoghi li scrisse appunto Platone e che no, non si scopa che “ho la vulvidinia”

Si, è endemica dal ’68. Però l’anno che verrà..ci vorrei pure provare una volta a durare tutta la notte come nel ’78.”

Prove it all Night l’avevo abbozzata a scuola di chitarra, poi imparata a casa cercando gli accordi su YouTube, di notte. La maggior parte della canzoni di Bruce Spingsteen sono ambientate di notte. La notte è sporca e puttana, ambigua come una fotografia fuori fuoco che sotto la lente dell’ingranditore mostra le ombre, i fantasmi e i ricordi che pretendono il passaporto per il mondo dei vivi. Ogni notte la mia infanzia e la mia adolescenza, tutte le persone che ho incrociato e perduto mi vengono incontro e vorrei uscire di casa.

Di casa uscivo la notte dopo essere rientrato la sera. Sgattaiolavo fuori dalla finestra del bagno con la luce della Luna che illuminava il giardino impedendomi di rompermi una gamba. Rientravo alle 2 dopo che Francesca era rincasata. Francesca passeggiava per viale Puccini con le sue amiche, io con i miei in senso contrario. Ogni volta incrociavamo gli occhi e ci accontentavamo del silenzio. Francesca non ha mai tirato giù lo sguardo. Vive a Salerno. Ha tre bambini, non sa che cosa sia la pace e non dorme senza un po’ di luce.

E’ di notte che ci si innamora, la mattina si cercano conferme nella scatola degli analgesici. Caterina mi baciò di notte sul sedile posteriore di un taxi. Fu un bacio tenerissimo. Eravamo stati a Roma, da Giggetto. Avevamo bevuto due bottiglie di falanghina e c’eravamo un poco scordati della merda che c’è la fuori. Io me ne ricordai in ascensore pisciandomi nelle scarpe, lei si addormentò con la testa verso il sudario di Laurina perché portava bene. Di Prove it all Night pensammo fosse il caso di parlarne l’indomani.

A ste’età mi pare improbabile anche il domani”, diresti tu.

Io riderei.

Tu chiederesti scusa.

Però sei un fenomeno anche quando chiedi scusa per una freddura sopra la lapide di un’amica morta. “Metti gli occhiali e leggi meglio”, avrei dovuto dirti. E invece ti dico grazie perché mi hai arricchito quando pensavo d’essere morto, e perché la freddura sopra la lapide fa un po’ pendant.

Dopo che l’accompagnai sulla strada verso Bologna e vidi le sue luci posteriori scomparire andai al bar di Mario a sbronzarmi. Nel bar c’eravamo solo io e Mario. Era la sera del 30 settembre e a Casale era festa. I casalesi erano in piazza san Michele, io in un quadro di Hopper. Decisi di farmi un blog.

Blog era una trasmissione televisiva che guardavo talvolta su RAI 3, una delle rare cose per cui vale guardare la televisione. Lo guardava pure Nello. Nello studiava giurisprudenza alla Federico II. Aveva la media del 30. Gli restavano pochi esami. Una sera andammo ad una festa insieme. C’era anche Ciro. Ciro era uno spacciatore. Nello andò via con lui. Vidi le sue luci posteriori spegnersi lentamente. All’inizio la usava solo il sabato e la domenica. Poi per tutta la settimana. Gli sembrava di non essere capace di fare niente se prima non sniffava la sua striscia di coca.

L’ho incontrato qualche giorno fa, non lo vedevo da anni.

Poi, una domenica, l’avevo finita. Ho girato per Napoli come un pazzo. Non la trovavo. Mi veniva da piangere. Ho chiamato mille persone. Nulla e io mi sentivo perso. Fuori di testa. Dovevo calmarmi. A tutti i costi. E’ stato quel giorno che ho comprato la mia prima dose di eroina. E ogni volta che l’effetto della coca arrivava all’apice, la usavo per calmarmi. Come fosse un analgesico. E in vena funzionava meglio. Ho unito un abuso ad un altro. Una sera mia madre ha voluto vedere le mie braccia. Il giorno dopo ho trovato le valigie sul pianerottolo. Per strada ci ho messo poco a precipitare.

Nello non s’è laureato. Ha fatto mille lavori ed è ridotto in un milione di piccoli pezzi. Io sto provando a tenerli insieme.


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