
Secondo Procopio di Cesarea fu lo stesso Dio, la sua saggezza, la sophia, a consentire alla popolazione di Costantinopoli, nel 532 d.C. durante il regno di Giustiniano, di dare alla fiamme la basilica di Santa Sofia eretta da Teodosio II nel 415 d.C.: “Lui permise loro di compiere quest’empietà, sapendo in anticipo che quel tempio era destinato a risorgere con immensa bellezza.”
“Infatti risorse. Per arricchire la nuova chiesa Giustiniano ordinò che si spogliassero altri templi, quello di Diana a Efeso, quello del Sole a Palmira, quello di Atena a Pergamo.”, scrive Corrado Augias in I segreti di Istanbul: Storie, luoghi e leggende di una capitale. “Il 26 dicembre dell’anno 537 ha luogo l’inaugurazione. Vi assistono dignitari venuti da ogni parte dell’impero. Il Basileus entra nel tempio su una quadriga. I cronisti impiegano gli aggettivi piú iperbolici per descrivere la magnificenza del corteo. Oro, porpora, pietre preziose, danno alla cerimonia note policrome di una ricchezza mai vista. Segue l’imperatrice con la sua corte. Quando Giustiniano è entrato dalla porta centrale è parso come abbagliato dalle luci, dai colori e specialmente da uno sconfinato orgoglio. Scende dalla quadriga, corre al centro della basilica, sotto la cupola e grida: «Salomone, ti ho vinto!»
“Si abbraccia con uno sguardo un vuoto enorme, un’architettura ardita di mezze cupole che paion sospese nell’aria, di pilastri smisurati, di archi giganteschi, di colossali colonne, di gallerie, di tribune, di portici, su cui scende da mille grandi finestre un torrente di luce, un non so che di teatrale e di principesco, piú che di sacro, un’ostentazione di grandezza e di forza, un’aria di eleganza mondana, una confusione di classico, di barbaro, di capriccioso, di presuntuoso, di magnifico; una grande armonia, in cui, alle note tonanti e formidabili dei pilastri e degli archi ciclopici, che rammentano le cattedrali nordiche, si mescolano gentili e sommesse cantilene orientali, musiche clamorose dei conviti di Giustiniano e d’Eraclio, echi di canti pagani, voci fioche di un popolo effeminato e stanco, grida lontane di Vandali, d’Avari e di Goti; una grande maestà sfregiata, una nudità sinistra, una pace profonda […] un misto non mai veduto di tempio, di chiesa e di moschea.”, scrive De Amicis.
Non sono riuscito a trovare parole diverse e migliori per descrivere Santa Sofia, e le emozioni che mi ha dato. Anche ora che provo a scriverne sono tante e tali che non riesco a trovarne il capo e la coda. Santa Sofia è stata un’esperienza di auto-comprensione, la storia e le storie che è capace di raccontare condensate in qualche lacrima che mi ha rigato il viso, e in qualche parola timida con la quale provavo a spiegare a Greta la grande bellezza che mi sorprendeva, mi stupiva, e quasi atterriva.

Nelle parole di De Amicis manca il capitolo più recente di Santa Sofia, la trasformazione in museo nel 1935, grazie al primo presidente turco Mustafa Kemal Ataturk, e l’ultima pagina, la promessa di Erdogan di trasformarla nuovamente in moschea. Forse ho pianto per questo, perché la sapienza di Dio appartiene all’uomo solo per qualche ora qualche ora, forse perché poco prima io e Greta eravamo seduti di fronte al Corno d’Oro a leggere di Ero e Leandro, della “speranza accesa d’amore di Ero di rivedere il giovane che le ha rapito il cuore”.
Ero era una sacerdotessa di Afrodite a Sesto, in Tracia, Leandro un giovane asiatico che abitava di fronte, ad Abido: ogni sera Leandro “mareggiava intra Sesto e Abido” per incontrare la sua amata. Ero, per aiutarlo ad orientarsi, accendeva una lucerna. Ma prima di Ero e Leandro era stata Io, trasformata da Zeus in una giovenca, ad attraversare quel mare che da lei prese il nome. O forse erano stati i mercanti “sbarcati dalla Fenicia che rapirono in Argo la tauropàrthenos, la «vergine dedicata al toro», chiamata Io”. Io era la trisavola di Europa che i cretesi rapirono in Fenicia per farne la prima regina della loro isola. Nel mito la storia è narrata diversamente. Siamo a Tiro: “nella prateria apparve un toro di colore biondo, con un cerchio bianco sulla fronte. Emanava un profumo che copriva quello dei fiori. Si fermò dinanzi a Europa e le leccò il collo. Lei lo carezzava, e intanto asciugava la schiuma che colava abbondante dalla bocca dell’animale. Il toro le si inginocchiò davanti, offrendole la groppa. E, come lei fu montata, balzò verso il mare”. “Da questi eventi è nata la storia: il ratto di Elena e la guerra di Troia, come anche, prima ancora, la spedizione della nave Argo e il ratto di Medea, sono anelli della stessa catena”, racconta Calasso in quel capolavoro che è Le nozze di Cadmo e Armonia. “Da allora non è cessata la guerra fra Asia e Europa”
“Papa’ ma scoppierà la terza guerra mondiale?”, mi ha chiesto Greta mentre l’hastag WWIII diventava virale sul suo cellulare e “Iran” e “Soleimani” diventavano le parole più cercate in rete. Come risponderle? Dove cercare una ragione plausibile e dicibile in racconti di bulli, criminali, e terroristi?
“Greta guarda! La Vergine Maria affrescata sopra un mihrab è una pagina di storia che vale più di tanti racconti, e storie che incontrerai, e studierai”. E’ uno schiaffo in faccia a bulli, criminali e terroristi, uno sberleffo alle ragioni dell’uomo, e la prova della sophia di Dio.

Si, ma com’era cominciato tutto?