Living Stone

Mio figlio non la ricorderà. Un giorno prenderà l’album delle sue foto, quelle scattate prima che i processi della memoria le abbiano trasformate in ricordi, e proverà lo stesso smarrimento che provo io a guardarmi di fianco a mio padre che mi guarda orgoglioso. La fotografia non è come un film, ha un prima ed un dopo che rendono possibile il punctum. E’ per questo che preferisco la fotografia al cinema. Alla fotografia è possibile aggiungere altre immagini: cosa facevo cinque minuti prima? E cinque minuti dopo? Ricordo che faceva caldo, e che la biblioteca della Società Geografica Italiana offriva un buon riparo dall’estate romana. L’Atlante era già sulla scrivania, o invece ho voluto costruire un augurio? Al cinema non ho tempo di chiedermi se quel bambino è mio figlio, o sono io. La fotografia per contro mi permette di chiedermi dove inizia, quando inizia, quella linea sottile che separa mio figlio da me, che disegna parole e silenzi, e muri infine, è dunque un linguaggio incapace di narrare, ma con la capacità impareggiabile di evocare, una traccia fisicamente causata da un referente al quale, al tempo stesso, rimanda come ad esempio il fumo (indice di un fuoco), l’ombra (indice di una presenza), la polvere (deposito che indica il tempo trascorso), la cicatrice (indice di una ferita), lo sperma (residuo e indice del godimento), le rovine (vestigia che indica di ciò che è stato).

Mio figlio che sfoglia un atlante geografico è l’indice di una ferita che non si rimargina. L’atlante geografico è uno dei libri di poesia più belli che riesca a immaginare. Fu Anassimandro il primo a concepire l’idea di disegnare la Terra su di un pinax, una tavoletta. “Per la prima volta, lo stilo non servì a disegnare delle lettere, ma ad incidere un’immagine che era un’evidenza muta…Il momento, importante, è paragonabile a quello che vide l’invenzione della scrittura”, scrive Michel Gras. Provo a cercare casa ai piedi dell’Appennino campano, e l’indice già sprofonda nell’Adriatico. Giro qualche pagina a caso: che ora è a Kabul? Sono queste le vette innevate che Alessandro Magno guardava inseguendo Besso? “Vedere il mondo davanti a sé era come possederlo già: abbracciarne i limiti in un solo colpo d’occhio , era come concepirne l’essenza stessa”.

Appena qualche anno più tardi quell’atlante sarebbe diventato l’invito a non ammazzare un insetto che correva sulla sabbia di Peschici “perché anche io e te siamo degli animali…tu ad esempio sei una scimmia”. Come si chiamava quel bambino che corse piangendo dalla mamma perché offeso da una discendenza così poco nobile figlio mio? Una fotografia servirebbe a ricordarne il nome. E’ lo stesso bambino al quale chiudesti il rubinetto della doccia “perché l’acqua è preziosa”. Era di Trento, questo ricordo, insieme al mio orgoglio di meridionale, e alla paura d’aver detto troppo, e troppo presto, il giorno dopo in spiaggia quando ti teneva a distanza.

La materia dei sogni: ” Papà parla difficile”, hai detto a tua zia. Io ho sorriso, consapevole dei tuoi anni e della difficoltà di vestire i tuoi abitini, e ho preso a raccontare, quasi per farmi perdonare e conquistare nuovamente la tua attenzione, la fiaba del lupo e dei tre porcellini, semplice, comprensibile; ma poi non ho potuto dirti che il lupo è cattivo. Non è il lupo ad essere cattivo.


Qualche giorno fa Greta Thunberg, una ragazzina svedese che ha la tua stessa età, è salita sul palco della conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, a Katowice, in Polonia puntando il dito contro l’indifferenza dei potenti riguardo le disuguaglianze climatiche e sociali nel mondo.”Sono le sofferenze dei molti a pagare per il lusso dei pochi – ha detto Greta – quando nel 2078 festeggerò i miei 75 anni i miei figli mi chiederanno perché non abbiamo agito quando ancora potevamo farlo”. Greta è il motivo per cui la fotografia di te che sfogli un atlante geografico è l’indice d’una ferita che non si rimargina. Sono passati quindici anni e io ho ancora più motivi di chiederti scusa d’un mondo che è quel che è, e che sarà sempre peggio forse.

“Ho quindi deciso di voler fare il fisico…per trovare un modo per rendere il futuro più facile…So che sembra il sogno di un bambino, e che tutti diranno che è impossibile, ma forse lo è perché tutti dicono che è così, e nessuno ha il coraggio di provarci”, scrivevi qualche mese fa descrivendo a modo tuo come ti immaginavi tra qualche anno.

A Modo tuo è una canzone di Ligabue dedicata a sua figlia Linda, “e lui ha voluto sentirlo cantare da una mamma. Luciano è un artista a 360 gradi, è anche uno scrittore, per questo credo gli venga spontaneo mettersi così tanto nei panni degli altri, scrive per altre anime e altre voci come se fossero la sua, e racconta storie e sentimenti come pochi altri sanno fare, non solo in Italia. Questa volta è il rapporto profondo tra madre e figlia. Io ritengo che questo sia uno di quei brani “incantabili” perché ti commuovi dopo le prime righe e non riesci ad andare avanti… Come mamma lo senti molto, quando descrive bene il difficile ruolo del genitore che cresce i propri figli: vorrebbe proteggerli tutta la vita e tenerli lontani dal dolore e dai problemi, ma che in fondo sa bene che dovrà lasciarli andare per la loro strada un giorno”, racconta Elisa.

Ligabue ha scritto anche un’altra canzone che amo molto: sono sempre i sogni a dare forma al mondo!


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