U2

Torino, 6 agosto 2010: ”ma non ti sei stancato di vedere sempre lo stesso tour?”, mi aveva chiesto mia sorella prima che partissi. Sorrideva. Sentivo la sua voce: “Return of The Stingray” e “Beautiful Day” erano cessate da poco. Avevo pensato che se The Claw fosse rimasto illuminato a giorno sarebbe stato segno di una impronta rock che Bono voleva dare al suo ritorno, di una risposta a quanti come ai tempi di ”War” ritengono che gli U2 siano un fenomeno da baraccone, uno spettacolo circense, non una band: le luci erano rimaste accese, il rock era partito vestendo di nuovo un tour che non è mai lo stesso, un racconto che si svolge lungo le autostrade e i prati del mondo e si arricchisce di facce, di sensi, di cose.

Intanto The Claw era diventato granata, colorato dalle note di “Magnificent”. I was born to be with you in this space and time…I was born to sing for you…”: la dedica a Torino, ai suoi colori ed alla sua gente. 
Torino doveva essere solo la prima tappa europea del 2010. Dopo Berlino, dopo l’incidente che aveva costretto all’annullamento delle date americane, è diventato altro. La vita si muove in modi misteriosi come la Salomè di Wilde, isterica, cerca amanti in ogni dove come la luna di “Mysteriuos ways”. Ma, inevitabilmente, “I still haven’t found what I’m looking for” giunge a ribadire come ogni porto sia effimero, ogni certezza fugace, come la vita sia un viaggio non un arrivo, una continua scoperta di se stessi, un continuo rinnovarsi. The Edge compie 49 anni domani, è il momento degli auguri: a 49 anni si è “pronti per il futuro” come gli U2, pronti per questo mondo con due inediti, “North Star”, una ballata acustica, imperfetta, da terminare, come avverte Bono prima che le luci si spengano e il prato si trasformi in un cielo stellato, e “The flowering rose of Glastonbury”, un pugno rock nello stomaco, e con i loro classici “Elevation”, “Until the End of the World”, la Hiroshima di “Unforgettable Fire”, pronti per il futuro in un mondo che è una città dalle luci abbaglianti, “City of blinding lights”, una città dove “alcuni pregano perché altri rubino”, che dà le vertigini.

”Vertigo”, un locale berlinese, “uno di quei locali dove un drink costa come un bar del Terzo Mondo”, un posto dal quale ad un certo punto vorresti scappare mentre fissi un crocefisso appeso al collo di una ragazza che balla con le sue unghia rosse, gli occhi truccati, le labbra costrette ad uno stupido sorriso; vorresti fuggire da tutto quello che speravi di non conoscere, per un futuro migliore che non conosca altre “Miss Sarajevo”, altri sogni interrotti, altre sofferenze come quelle di Aung San Suu Kyi. A Milano e Londra, i mie concerti del U2 360° Tour era stato magnifico cantare per la Birmania e per i diritti civili, ora è necessario mettersi in cammino con le note di “Walk On” per non lasciare che chi soffre cammini da solo: “You’ll never walk alone” canta Bono, nemmeno in Iran.

The Claw si colora di verde, delle immagini della protesta iraniana, del sangue di ogni rivoluzione. ”Fuck the revolution”: ”la prima volta fu durante il tour americano: in un concerto qualcuno lancio’ una bandiera sul palco, aspettandosi che la sventolassi. La presi, strappai il verde e l’arancione e tenni solo il bianco. Il risultato fu una bandiera bianca. Un messaggio semplice ma efficace”. Una generazione senza nome, lacerata, fatta a pezzi da distintivi e uniformi, da bandiere che si sventolano e non si capiscono e che si sporcano di sangue, del sangue d’una domenica lontana e d’ogni giorno in giro per il mondo: ”Sunday bloody Sunday”. Per quanto tempo dovremo ancora cantare questa canzone? How long must we sing this song? Da qualche parte questa canzone è cessata: lo ricorda il reverendo Desmond Tutu, premio Nobel per la pace per il suo impegno contro l’apartheid, ricorda come quelle persone che hanno combattuto contro l’apartheid in Africa, contro le violenze in Irlanda del Nord sono le stesse persone che stanno cantando e ballando sul prato dell’Olimpico, tutte quelle persone che sentono di essere “One”.

”One” per certi versi è la mia canzone preferita, un dolcissimo ricordo passato, e una speranza per il futuro, un sogno interrotto, ed un sogno ancora da fare che, inevitabilmente, si incontrano dove le strade non hanno nome. “One” era la canzone che cantavo a mio figlio che scalciava nel grembo della madre. “Un tempo si pensava che i bambini prima di nascere si limitassero a starsene in panciolle a maturare”. Oggi, per contro, si sa che il sistema uditivo è funzionale entro sette mesi dal concepimento. Cosa sentiva mio figlio mentre galleggiava come un precog nel grembo della madre? Quello che sentono i bambini prima di nascere è simile al suono che si produce coprendosi la bocca con la mano. Le frequenze prodotte dalla voce umana rientrano nella gamma che va da 100 a 4000 Hertz: quello che giungeva a mo figlio erano solo le frequenze inferiori ai 1000 Hertz. “Se poteste udire solo le frequenze al di sotto dei 1000 Hz, riconoscereste la melodia d’una canzone dal cambiamento di altezza, di ritmo e di durata delle note,e forse dalla loro intensità, dal loro volume relativo, ma non riuscireste a distinguere le singole parole e nemmeno i singoli suoni”, scrive Gerry T.M. Altmann in La scalata di Babele.

Mia moglie aveva comprato diversi libri sulla gravidanza. Le servivano a comprendere il suo corpo che cambiava, forse anche ad esorcizzare la paura d’un corpo che avvertiva ogni giorno più estraneo, e a misurare la vita che le cresceva dentro. Io avevo comprato La scalata di Babele subito dopo aver finito Dalla nascita del linguaggio alla babele delle lingue di Robin Dunbar. Scalando Babele avevo perso mio padre, ma avevo scoperto che potevo parlare a mio figlio ancor prima che nascesse. Ovviamente gli parlai del nonno. E degli U2.

“One” faceva parte di un CD che avevo preparato apposta per lui: oltre agli U2, avevo scelto i Cranberries, i Pink Floyd, e i Guns N’ Roses, le uniche loro canzoni che riuscivo ancora a sopportare dopo averne tradotto i testi, Knockin’ on Heaven’s Door che è di Bob Dylan, ma che la voce di Axl Rose e la chitarra di Slash traducono nella ribellione che sento più mia, e Sweet Child o’ Mine che mi sembrava un bel modo per cullarlo e per accarezzare a warm safe place where as a child I’d hide and prayed for the thunder and the rain to quietly pass me by. Sweet Child o’ Mine l’ho riascoltata qualche tempo fa nella versione di Viggo Mortensen. Era estate, qualche ora d’una notte caldissima d’agosto.

“Sarebbe bellissimo vivere così papà”, mi ha detto Greta sui titoli di coda di Captain Fantastic.

“Si, sarebbe bellissimo, ma la vita è assai più complessa di un film. E’ più simile ad un concerto. Quando la musica finisce, restano le cartacce da pulire, e le bottiglie vuote, e un vuoto allo stomaco per la strada che ti riporta a casa. Torni a casa, e speri che domani ci sia di nuovo una chitarra che ti faccia compagnia. E aspettando il domani, intanto lotti, e bestemmi.”

“Papà per il mio compleanno mi regali gli U2?”

Si, Greta. Alla fine te li ho regalati. Ma il regalo più bello me lo hai fatto tu a chiedermi di regalarteli. E me lo ha fatto tuo fratello quando abbiamo dovuto buttare via quel CD pieno di graffi.

“Papà, sai di tutti i CD che mi hai regalato questo è quello al quale sono più legato. E’ un peccato che si sia rovinato”


Ce ne saranno altri di CD. E’ la nostra soundtrack, le mie note vintage come le mie rughe e i miei capelli sempre più corti e sempre più bianchi, e quelle che loro mi insegnano, di gente che dura il tempo di un passaggio in radio, e resta solo per le immagini che incide dentro, per la strada lungo la quale ci accompagna: “Where the street have no name”. Bono la canta con voce stanca mentre tutto si colora di passione, di rosso, e di lacrime perché sai che è tempo di riaprire gli occhi. E allora gridi “ciao Bono, ci vediamo a Siviglia”. Perché “spero che non abbia ragione la critica de La Stampa che dice che gli U2 rappresentano una cultura destinata alla sconfitta. Un po’ quel che ci dicevamo a voce, ma io non posso credere che la musica non sappia più dare voce alle miss Sarajevo e che i bufali misteriosi di “One” non continuino la loro galoppata in libertà”



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